Le castagne
Autunno, tempo di castagne. Il paesaggio montano della nostra valle, comincia a tingersi dei vivaci colori tipici di questa stagione, i luoghi sottostanti ai castagni si riempiono di ricci pronti per essere aperti.
Già Ippocrate parlava di noci piatte, intese come, appunto, castagne.
Nel Medioevo già l’uomo ci mise mano, creando dei castagneti.
Nel Novecento la castagna ricoprì un ruolo fondamentale durante le varie guerre e soprattutto nelle famiglie povere, riuscendole a sfamare facilmente vista la loro abbondanza nelle zone di montagna.
Varie ricette ci sono riguardanti le castagne, ma un loro simbolo sono probabilmente i vermicelli.
Ecco qui illustrata la famosa ricetta:
Ingredienti:
800 gr di castagne
70 gr di zucchero
1 cucchiaino di cacao amaro
350 ml di latte
1 stecca di vaniglia
300 ml di panna.
Procedimento:
Sciacquate le castagne sotto l’acqua e fate un taglio nella buccia, sul lato più bombato, il taglio dev’essere profondo in modo che prenda anche la pellicina interna. Mettete le castagne in una casseruola, ricopritele d’acqua e portate ad ebollizione, lasciate cuocere per circa 5 minuti. Sbucciate le castagne ancora calde, eliminando anche la pellicina interna.
Mettete le castagne sbucciate in una casseruola, ricopritele con il latte e aggiungete anche il cacao e la stecca di vaniglia tagliata per lungo.
Coprite e lasciate cuocere a fuoco bassissimo, mescolando di tanto in tanto, per circa 50 minuti.
Le castagne dovranno essere tenere. Trascorso il tempo sgocciolatele e lasciatele intiepidire. Mettete le castagne in un mixer e frullate fino ad ottenere un composto denso ma omogeneo.
Trasferite in una ciotola, e unite 50 gr di zucchero, mescolando per bene.
Aiutandovi con uno schiacciapatate, premete sul piatto da portata realizzando i tipici “vermicelli, la forma dovrà essere quella di un monticello.
(Ricetta dal sito internet di “Giallozafferano”).
Sabato 13 ottobre, mi sono recato alla casa di riposo situata ad Aquarossa con l’ intenzione di scoprire cose nuove sul tema di questo articolo.
Per cominciare ho chiesto ad una signora ex residente di Semione se conoscesse qualche filastrocca riguardante le castagne. Mi ha risposto che purtroppo non la conosceva. Ma dopo qualche istante si corresse dicendo che una la conosceva: “La castegna la ga na sola cua. Chica la trova lè sua.”
(La castagna ha una sola code. Chi la trova è sua.)
Mi spiegò che mangiavano spesso i “brasc” e i “farüt”. In italiano le caldarroste e le castagne bollite.
Gli chiesi se ricordasse qualche episodio che riguardasse in qualche modo le castagne. Lei mi rispose esclusivamente in dialetto, dicendo che ricordava ancora quando la sorella arrivava daléla fabbrica “Felman” di Biasca in bicicletta fino a Semione, dove saliva poi sui monti a recuperare il grosso sacco di castagne raccolte dalla madre. Mentre stavamo chiacchierando, ecco che al nostro tavolo si aggiunge una signora che già conosco. Abitava a Dangio. Si era accorta che mi stavo informando sul tema, quindi aggiunse che al suo paese natale, appunto Dangio, c’era un grosso castagno dove molti andavano a raccogliere le castagne muniti di bastone. Precisò che il tronco arrivava a due metri di diametro. Lo chiamavano “ul castagnon”, tradotto letteralmente significherebbe “il castagnone”. Rammentava che con le castagne c’era pure un gioco che consisteva nel raccogliere una decina di castagne abbastanza piccole, sparpagliarle su di un tavolo, e lanciarne una. Mentre questa è in volo, dal tavolo bisogna prenderne un’ altra e prendere anche quella che sta per cadere. Se ci si riesce si lancia ancora una castagna e questa volta se ne raccolgono due, poi tre, poi quattro, e così via. Se si erra il turno passa al compagno. Quando anch’esso sbaglierà, il turno passerà ancora all’altro giocatore, che dovrà ricominciare ancora dall’inizio.
E con questo il Giornallievo vi ringrazia per la visione.